Charles Arthur del Guardian scrive un pezzo dal titolo “The long tail of blogging is dying” dove più che seguire il solito tormentone del “i blog sono morti” fa alcune considerazioni senz’altro condivisibili anche se eccessivamente legate al rapporto tra un giornale ed i suoi lettori.
Quanti al mondo d’oggi inviano al giornale una lettera cartacea e quanti altri ancora utilizzano l’email o il proprio blog personale inviando un trackback? Quanti ancora conoscono i tackback?
Se a spammare con un “splogs” non ci vuole nulla ed invece scrivere un blog diventa sempre più difficile (forse perchè ce ne sono molti o le persone sono diventate più esigenti), non è un paradosso affermare che la coda lunga dei blog – aggiungerei – “amatoriali” sta lentamente morendo?

Arthur dimentica che il target di chi legge i blog su Internet è abbastanza diverso dal consumatore tradizionale che si avvicina alla carta stampata ed alla sua “versione” online, cioè siamo di fronte a due tipi di lettori diversi, uno più attivo e critico (il cui spirito d’opinione può ), l’altro probabilmente più passivo, distratto ed infine cinico, preso dall’overload di informazione e da una stretta selezione, quasi sia troppo impegnato a scegliere nel supermercato delle news.

NetNewsWire, my RSS feed reader, has nearly 500 feeds. When one of them hasn’t been updated for 60 days, it turns brown, like a plant dying for lack of water. More and more of the feeds I follow are turning brown. Why? Because blogging isn’t easy. More precisely, other things are easier – and it’s to easier things that people are turning. Facebook’s success is built on the ease of doing everything in one place. (Search tools can’t index it to see who’s talking about what, which may be a benefit or a failing.) Twitter offers instant content and reaction. Writing a blog post is a lot harder than posting a status update, putting a funny link on someone’s Wall, or tweeting.

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